Il 16 marzo è stata presentata la Prassi di Riferimento UNI 125:2022, con l’intento di definire i requisiti necessari perché le aziende ottengano la Certificazione di Parità di Genere. È un dato noto, oltre che in sintonia con il resto dei Paesi dell’Unione Europea, che le donne, per quanto rappresentino la maggioranza dei laureati italiani, risultino però meno occupate rispetto agli uomini. Fortunatamente si stanno facendo strada diverse misure che mirano invertire il trend secondo cui, nonostante il livello di istruzione sia mediamente più alto per le donne piuttosto che per gli uomini, quando si tratta di trovare un lavoro, i dati si scambiano. Nel caso di posizioni manageriali, poi, in Italia solo un quarto sono occupate da donne (fonte: IPSOA).
La Certificazione di Parità di Genere
Già nella presentazione del PNRR era stato previsto lo stanziamento di 9,81 miliardi per lo sviluppo di politiche di inclusione sociale, fra cui spiccava anche il tema della parità di genere. La Certificazione verrebbe concessa alle aziende (di qualsiasi dimensione) che dimostrino l’efficacia delle proprie politiche di gender equality. Ad essere valutati sarebbero diversi parametri, dalle opportunità di crescita, alla parità di retribuzione, fino alla gestione della maternità. Ogni parametro viene valutato sul livello di partenza della società, con la prospettiva di assistere ad un progresso nel corso del tempo attraverso monitoraggi annuali e verifiche ogni due anni. Poiché ad ogni parametro è assegnato un punteggio, per ottenere la Certificazione è necessario che la somma dei valori superi il 60% del totale previsto. Secondo IPSOA, per rimanere in linea con le previsioni del PNRR, l’attivazione del sistema di Certificazione dovrebbe iniziare nel secondo quadrimestre del 2022.
Come si apprende dal Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze del 17 dicembre 2021, i settori caratterizzati da una disparità di genere superiore alla media di almeno il 25%, secondo i dati Istat del 2020, sono i seguenti: costruzioni (tasso di disparità 80,6%), industria estrattiva (73,5%), gestione rifiuti (65,8%), industria energetica (50,8%), settore agricolo (49,8%) e industria manifatturiera (47,1%). Restano disparità consistenti anche nel settore dei servizi, in particolare relativamente a trasporto e magazzinaggio (56,6%) e a informazione e comunicazione (36,8%).
I vantaggi per le aziende
L’Italia già dal 2006 può vantare disposizioni che tutelano le pari opportunità per le donne sul lavoro, grazie all’approvazione del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D.Lgs. n. 198/2006), e negli ultimi anni si è parlato molto dei vantaggi provenienti dalle capacità inclusive delle aziende, se non altro per consolidare l’immagine e la reputazione aziendale. Per incentivare le politiche di parità di genere sul lavoro, tuttavia, il governo ha stabilito che all’ottenimento della Certificazione di Parità di Genere debbano conseguire alcuni vantaggi per le aziende virtuose.
In particolare:
– Migliore punteggio nelle graduatorie degli appalti
– Esonero parziale dal versamento dei contributi previdenziali dei lavoratori (nel limite dell’1% e di 50.000 euro/anno)
Inoltre, la legge di Bilancio 2022 ha stabilito alcuni incentivi aziendali relativi all’occupazione femminile: è stato stabilito l’esonero del 100% dai contributi dovuti per l’assunzione di donne a tempo indeterminato, con un limite pari a 6000 euro/anno. In via sperimentale, anche l’esonero contributivo per madri lavoratrici dipendenti del settore privato, applicabile per il 50% dei contributi previdenziali. Per maggiori informazioni relative agli sgravi previsti per le aziende nel 2022, vi invitiamo a consultare il nostro articolo Assunzioni 2022: incentivi alle aziende.