Solo pochi anni fa, in fase pre-pandemica, il settore della gig economy valeva 3 miliardi di euro. Oggi ne vale 14, e impiega ben 28,3 milioni di persone solo in Europa, ma si prevede che il dato cresca fino a 43 milioni entro il 2025 (La Stampa). Il fatto che il settore sia cresciuto molto e molto velocemente ha recentemente reso necessario intraprendere una strada chiara in materia di diritti dei lavoratori, per tutelarli nello svolgimento di quelli che vengono spesso definiti “lavoretti”, ma che di fatto rappresentano per moltissime persone un impiego vero e proprio. Le piattaforme digitali – le più conosciute sono quelle di delivery e di trasporto con autista – sono circa 500 in Europa e ad oggi contano un numero di lavoratori autonomi altissimo, pari a nove su dieci, anche se la metà di sembra guadagnare meno del salario minimo.
Secondo l’UE, infatti, più di 5 milioni di lavoratori del settore sono classificati come autonomi, quindi senza accesso a diritti come salario minimo, ferie, malattia e contributi, anche se, in realtà, svolgono a tutti gli effetti lavori da dipendenti (La Repubblica). Con l’obiettivo di definire una volta per tutte il tipo di inquadramento contrattuale per i rider e gli altri lavoratori della gig economy, i ministri del Lavoro dei 27 Paesi membri dell’UE hanno trovato un accordo che li vedrà uniti nelle trattative con la Commissione e il Parlamento in vista della nuova direttiva UE di settore.
La principale difficoltà nella stipula della direttiva è il metodo con cui viene definito o meno lo stato di ‘subordinazione’, che serve a garantire più tutele ai falsi lavoratori autonomi, ma non dovrebbe obbligare i veri lavoratori autonomi a cambiare la propria situazione. L’accordo raggiunto stabilisce ad oggi un metodo per individuare i lavoratori autonomi che dovrebbero essere considerati dipendenti: se su una lista di sette criteri in materia di ‘controllo e direzione’ il lavoratore è sottoposto ad almeno tre criteri, questo verrà considerato un lavoratore dipendente. Fra i parametri saranno compresi il limite massimo di retribuzione stabilito dalla piattaforma, l’imposizione di un abbigliamento specifico, i limiti nella scelta degli orari e dei giorni di lavoro, la possibilità di rifiutare un incarico e di lavorare per la concorrenza.
Un’ulteriore stretta arriva anche riguardo l’algoritmo di cui sono dotate tutte le piattaforme della gig economy, fondamentali anche a livello operativo in quanto smistano e organizzano il lavoro dei rider. Nell’accordo si chiedono obblighi di trasparenza e monitoraggio sull’utilizzo dell’algoritmo e degli altri sistemi automatizzati che ricoprono un ruolo importante nella gestione del lavoro (La Stampa).
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